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    Messaggio Da ladra_di_vento Ven Feb 15, 2013 3:27 pm

    MINCHIA DI RE - GIACOMO PILATI

    PDF - EBOOK - EPUB GRATIS

    PER SCARICARE IL LIBRO CLICCA QUI

    Minchia di re Tn_200_300_minchia-di-re

    L’irriverenza non è nel titolo del libro, ma nell’assenza di memoria quando è scomoda alla morale comune o all’autorità costituita dagli uomini. Minchia di Re ( Mursia Editore, pagg. 185 – euro 13,00) toglie il velo a una verità coperta dagli archetipi di una società prigioniera del proprio bisogno essenziale, quello di sopravvivere. Negare l’evidenza porta a confrontarsi con se stessi prima o poi, ma allo stesso tempo il negarla in assoluto – sotterrandola nel silenzio – significa sradicare il concetto stesso di libertà. Giacomo Pilati – giornalista, scrittore trapanese e autore del libro – dissotterra una storia dimenticata, sedimentata sotto una cappa d’omertà, scovata quasi per caso, in quella “farfalla delle Egadi”, l’isola di Favignana, dirimpetto alla propria città. Il luogo non dichiarato è comunque riconoscibile; uno dei tanti angoli di Sicilia che nascostamente partorisce personaggi sconosciuti eppure controversi, irriverenti, ambigui, leggendari, cioè unici – per complessa drammaticità – e per questo stesso epici e destinati a divenire patrimonio di una terra dove il più si traduce in mistero.

    Un groviglio di essenzialità, forza di esistere, riscatto, carattere, impeto passionale, scenari di pietre, scogli, vento e colline verdi dove l’azzurro del cielo e del mare si confondono nella ricerca del vero elemento che fa sopravvivere l’umanità: l’Amore. Tutte queste le colonne portanti di un tempio che da sola narrazione diventa testimonianza, che assorbe il lettore portandolo lontano, in una storia di fascino che va dritta al cuore. Il cuore, già è vero, il cuore; la pompa che irrora sangue, ma che serba e produce anche “affetti” – vera rarità in una parte di questa storia – che si materializzano in un tesoro cercato, mai avuto, ritrovato e poi ancora perduto. L’abilità dell’autore sta tutta nella poesia, in quelle immagini e nel linguaggio privo di scostumatezza, lontano da preconcetti, dai giudizi morali, perché il bisogno essenziale, nel profondo di ognuno di noi, è quello dei sentimenti; per un’identità individuale che nell’intimità d’animo s’esprime sia come uomo che come donna. Il cerchio dell’esistere si completa (e diamo per scontato che si completi per ogni essere umano, n.d.r.) quando si ritrova nel proprio cammino quel qualcuno, che altro non è che se stessi o, ancora, la proiezione dei nostri desideri rispecchiati in un altro, o altra, per un incontro che, da quella fusione, genera nuova identità, nuova esistenza. Ma chi è l’altro e chi l’io quando l’altro è come noi, cioè dello stesso sesso? Ecco la prospettiva del racconto, una storia di omosessualità femminile tra fine ottocento e prima metà del novecento. Una omosessualità dichiarata dalla protagonista, denunciata, e vissuta in modo sofferto. Non vista dagli occhi dell’ipocrisia, da quella società fatta di misera gente – i minatori delle cave di tufo – erosi dalla necessità di sopravvivenza. Una omosessualità negata dall’apparenza. Una vicenda che per una ristretta comunità del meridione, nonostante i fatti, si trasforma in un’altra realtà, una realtà che c’è da sempre stata a scanso d’ogni indecenza e a garanzia non d’una ma di mille e più esistenze, nonostante se ne mortifichi una.

    La protagonista del racconto, Pina, si addormenta nei panni di donna e senza scampo si ritrova a dover vestire, il mattino successivo, panni maschili. Pantaloni, coppola e seno fasciato, tutto avvallato da una “correzione” del certificato di battesimo. In una finzione che durerà per tutta la sua vita tutti sembrano avere perso la memoria della verità, anche per terrore del curatolo, padre della ragazza, e di quel barone Burruto che può chiudere la cava e decretare la morte dell’economia dell’isola e di chi ci vive. Il personaggio è realmente

    Il pesce ermafrodita Donzella di Mare
    esistito. Pina – poi Pino – si muove sullo sfondo di una Sicilia tra due sbarchi, quello piemontese e quello americano alleato.Pilati rivela – fuori dal libro – che Pina è nata nel 1868, morendo alla veneranda età di cent’anni, ma la necessità di voler limare edulcorate pagine di certa storia del Risorgimento – il passaggio dai Borboni ai Savoia non fu indolore in Sicilia, né ricco d’entusiasmi per le genti del meridione – lo porta a retrodatare la nascita allo sbarco garibaldino e ad accorciare nella finzione narrativa la vita della protagonista. Il racconto – che storico non è – abbozza la dolorosa vicenda della dittatura garibaldina e del dominio sabaudo per bocca di un esule nell’isola – lo strano personaggio del vecchio Cecè – che prigioniero, nel castello in cima alla collina, opera, in modo bizzarro, una lenta vendetta per la perdita dei figli, facendo dei propri carcerieri i veri prigionieri. Un gioco di parti che si inverte e ricompone nell’intera rappresentazione, in un costante equilibrio circolare che è comune a tutti i personaggi del racconto.

    Per Pina l’incontro con il vecchio è fonte di conquista, la rivelazione della sua vera natura: «Ma tu sei una Viola» – dice Cecè alla ragazza – «La Viola è un pesce e lo ha voluto Dio. Quando è maschio si chiama Minchia di Re. Per amore diventa femmina e ha i colori del fiore. Torna di nuovo maschio dopo che l’acqua si è presa le sue uova». La fantasia del narrare rende anche queste metafore, partendo da un pesce ermafrodita detto appunto Donzella di Mare (nel dizionario italiano, n.d.r.) e in Sicilia – che è terra di colore, pure nel linguaggio – appunto Minchia di Re. Lo scrivere che l’autore mette in scena è una ricostruzione di effetti che dalla realtà muove lungo i binari della fantasia. Altri i passaggi veri, trattati in modo funzionale al racconto: il matrimonio in chiesa – con la bella e dolce Sara – e la visita di leva, dall’esito scontato. Eppure, alla rivelazione di Cecè, la ragazza è titubante e nonostante comprenda d’essere come il pesce ermafrodita afferma: «Ma io sempre questa resto.» – cioè una donna – e Cecè incalza «Tu devi morire un poco, per tornare a vivere come vuoi tu.». Gli occhi, le membra, il sangue e il sentimento di Pina-Pino sono tutti orientati alla ricerca del riscatto, per quell’amore negatogli fin dai primi attimi di respiro, poi durante l’adolescenza e giovinezza. La presenza di un padre-padrone, deluso dalla mancata nascita di un maschio; l’assenza di una madre, zittita dall’autorità maritale e per ciò vittima dello stesso annullamento patito dalla figlia; della zia zitella, animo mortificato e trafitto da un corpo pesante che espia gravi pene terrene in un circolo vizioso che spinge allo svilimento e alla vergogna; sono fertile humus dove si perde, e per tortuose circostanze si ritrova, l’identità della protagonista, che negli occhi e nelle movenze di Sara – l’amore conosciuto e all’inizio proibito – si riconosce.

    Questa la realtà, che non è avvilimento ma purezza, e Pina chiede al vecchio come sia possibile il morire e poi rinascere senza fare violenza fisica a se stessi. Il prigioniero comprensivo allora spiega: «A mare il calamaro, dopo che ha perso le uova, muore di disperazione. I pesci briganti sono lì attorno, con la bocca aperta per sbranarselo, piccolo e tenero. Ma se lui resiste alla paura è salvo. E muore di vecchiaia. Perché ora è lui, grosso com’è che fa paura agli altri». In ogni risposta saggia c’è una predestinazione, così è anche nella risposta di Cecè. Nel tempo che passa c’è il momento del riscatto, ma il prezzo da pagare è durissimo. Pina morendo rinasce nella sua dignità di persona. Un riscatto che porta il personaggio a riappropriarsi di se stessa.


    INTERVISTA A GIACOMO PILATI
    L`autore del romanzo da cui è tratto il film "Viola di Mare" afferma: "Minchia di Re non è una storia d’amore fra due donne omosessuali, è una storia d’amore fra due persone
    ".

    Da dove e come ti è venuta l`idea di scrivere "Minchia di Re"?

    E’ stata la forza della storia a mettermi in testa l’idea del romanzo. Alcuni anni fa mi trovavo sul set di un documentario a Favignana. Io e il regista eravamo alla ricerca di posti insoliti da raccontare. Così siamo finiti sulla punta di Cala Rossa, un luogo straordinario con il mare che si tinge dei colori del cielo e le cave di tufo che scendono nell’acqua. In cima ad una rupe, una casa sorvegliava come una sentinella l’orizzonte, i fichi, i melograni, il vento, il mito della prima battaglia punica che proprio qui di fronte ebbe il suo epilogo. Un palazzotto dell’800 appena restaurato. Il proprietario, un architetto romano giramondo, aveva avuto questo immobile dagli eredi del primo costruttore, il curatolo di una cava di tufo. Un vecchio signore vissuto quasi 150 anni prima. Con un segreto però. Era stato donna i primi 24 anni della sua vita. Una bella coppola in testa, un ritocco all’anagrafe, le nozze in chiesa con un’altra donna. Ero senza fiato. Io pensavo ad una delle tante leggende partorite dall’isola, e invece era tutto vero. Ho consultato documenti e vecchi registri e alla fine l’ho trovata in un libro ingiallito all’Archivio di Stato. Una piccola annotazione riferiva di un cambiamento anagrafico ..”la dove si legge sesso femminile leggasi sesso maschile , la dove si legge Pina leggasi Pino”. Il grande potere esercitato sull’isola probabilmente ha finito per sigillare questo scandalo antico, fino a farne perdere le tracce. E’ stato allora che mi sono chiesto come ha vissuto nell’800 un uomo, in una piccola isola della Sicilia, per 24 anni nei panni di una donna. Ma anche - spostando però il punto di osservazione – come ha vissuto una donna nei panni di un uomo per il resto della sua vita. Mi sono messo sulle sue tracce, ho parlato con chi l’ha conosciuto (è nata nel 1868 ed è morto nel 1968) ed ho scoperto che era un tipo glabro, con la voce a chioccia e una fascia sui seni e che faceva la pipì seduto. Era una brava persona, gentile e disponibile con tutti. Non ho voluto saperne di più. Volevo essere libero di farla vivere come volevo io. E’ nato così questo romanzo. Tutte le vicende che racconto sono frutto di invenzioni. L’unica cosa certa è che lei e lui ci sono stati veramente ed erano la stessa persona. La metamorfosi. Il resto non è mai successo.

    "Minchia di Re", nome di un pesce ermafrodita, è sicuramente un titolo d`impatto. Sei appassionato di pesca (da buon trapanese) o c`è dietro questa scelta qualche altro motivo?

    No, nessuna recondita passione per la pesca. Sapevo che molti pesci vivono una curiosa inversione sessuale trasformandosi da femmine in maschi. Fra tutti mi intrigava la donzella o viola di mare,un piccolo pesce molto diffuso in Sicilia, che in questo passaggio cambia forma, livrea, colore. Un caso unico di ermafroditismo. Nel’800 la viola di mare lungo le coste di Trapani veniva chiamata Minchia di re. Mi è sembrato un titolo giusto, in tinta con la storia e il personaggio che stavo raccontando. La metamorfosi, col contenuto che resta uguale e la forma che cambia.

    Quanto c`è di uguale tra la Sicilia di fine 800 raccontata in Minchia di Re, e quella dove scrivi tu adesso?

    I giovani vestono come i loro coetanei di Londra e Parigi. Hanno uguali informazioni. Ascoltano la stessa musica. Sono mutati i costumi, le apparenze. Ma i cambiamenti, mi riferisco a quelli mentali, hanno una tensione diversa, scorrono su binari a scartamento ridotto. Pesa il ruolo della famiglia, custode di sensi di colpa, tradizioni, culto, antichi segreti. La famiglia che salvifica e condanna, poco incline alle trasformazioni, con lo sguardo avanti e la testa all’indietro. Sottomessa al quieto vivere, un patto tipicamente siciliano a metà fra viltà, pigrizia e paura. Cioè va bene qualsiasi rivoluzione purché la facciata rimanga intatta, senza clamori, ogni cosa al suo posto. La pace negli occhi e nel cuore. E si deve vedere. Ed è meglio crederci tutti. O far finta di crederci tutti. Pina nel libro può stare con Sara solo perché è diventata Pino. Qui è l’apparenza a dettare le regole del gioco. E Pino è così forte da accreditare le apparenze e costringere tutti a crederci. Insomma anche se potente e figlia di potente non avrebbe mai potuto fare passare la sua omosessualità senza costruirci attorno una bugia. E’ la forza di questa bugia a determinare gli eventi fino all’epilogo. Il paese (siamo in una piccola isola di un’isola 100 anni fa) non avrebbe mai accettato questo tipo di convivenza a nessuna condizione. La comunità lo accetta perché l’apparenza (e non il travestimento o la mascherata) salva lo scandalo, e inventa una nuova convenzione che è un inno al quieto vivere Soffrire per evitare di soffrire, una catena lunga secoli che stringe ancora oggi la Sicilia, le donne soprattutto. Perché non ci sono altre scelte che possono essere compiute senza provocare rumore. Pina allora deve rimanere Pino. Il gioco in questo modo si svela alla fine. Che non è un colpo di scena. Ma una drammatica beffa.

    Nel libro natura e cultura si aggrovigliano come se alla fine fossero quasi la stessa cosa. La Sicilia, del resto, regala queste due emergenze in maniera aggressiva. Credi sia una storia che era possibile raccontarla solo sullo sfondo siciliano, o la pensi (l`hai pensata) come storia universale?

    La Sicilia è la vera protagonista di questa storia. I silenzi, gli appannamenti, le bocche cucite, la resina degli alberi che si appiccica alle pietre, il sole implacabile e il mare ovunque. Un natura fatta di odori ma anche di carne, di sguardi, di colori, di fumo, di nuvole e di pensieri, di odio e di irraggiungibili passioni. Con il coro greco – altro attore fondamentale del libro – che annuisce, condanna, giudica, deplora e perdona. Ma senza farsi vedere. Una sfumatura. Un colpo di luce, Un fulmine. Un occhio puntato come un indice sulle manovre della vita. Un coro invisibile che diventa verbo. E’ la trama eversiva che porterà le due prime donne del romanzo a sfuggire al coro e al suo spietato controllo, a rilanciare alla fine il tema universale dell’amore a tutti i costi libero dal pregiudizio.

    Fanno ancora così paura i temi legati all`omosessualità?

    Fanno paura i cambiamenti, le persone che non sono uguali.
    Ogni giorno in Italia qualcuno viene pestato per questo. L’omosessualità continua ad essere soprattutto al sud una causa importante nei suicidi dei giovani fra i 16 e i 25 anni. E’ meglio allora parlarne poco, esorcizzare la paura facendo finta che il problema non esista. Un rimedio che si incista nella società e diventa malattia. Fa paura guardare la realtà da un punto di vista diverso, confrontarsi con le trasformazioni, immaginare un luogo nuovo , che non si conosce fino in fondo. Mettersi in discussione, crescere, aprire le finestre e fare entrare luce, aria, polvere. E più facile allora delegare agli altri il cambiamento, al pensiero unico che lo autorizza e lo certifica per tutti, allo sdegno che è collettivo, alla condanna che è unanime come l’assoluzione e il perdono.

    Scrivere di omosessualità, parlarne, vederla al cinema o in tv oggi è abbastanza frequente. Pensi ci sia anche un fattore di business? Se ne parla in maniera "corretta"? E` solo un modo per "fare ascolti"?

    Il cinema, la televisione in questi anni- con qualche rara e qualificata eccezione - hanno imposto modelli improbabili: la macchietta, l’omosessuale sfigato che finisce male, l’omosessuale che invece ce la fa , il bacio dello scandalo, una porta che si chiude, una mano che scivola troppo in basso. Storie che talvolta sollecitano impudiche curiosità studiate a tavolino per attirare pubblico, sollevare discussioni, aprire dibattiti che durano lo spazio di un film. Un genere insomma, che ha finito per tradire i temi del confronto sull’eguaglianza di tutti gli esseri umani senza distinzione di sesso e di religione, di nazionalità e di colore della pelle. Minchia di Re non è una storia d’amore fra due donne omosessuali, è una storia d’amore fra due persone.

    Avresti mai pensato che il tuo libro sarebbe diventato un film? Come hai appreso la notizia? La sceneggiatura ti ha soddisfatto?

    Scrivevo e vedevo le immagini, ora lo so che funziona così, ma all’inizio mi sembrava una cosa strana, una magia. Io che mi stavo girando un film che raccontavo in presa diretta. Con tutti i colori, i profumi, i dialoghi. Ma anche con le sofferenze, le lacrime e il sangue . E io lì davanti alla tastiera a spiegarle e a viverle per loro e per tutti. Un cerchio che si chiude dopo avere esplorato mondi nuovi. Un giro strano che parte dal cuore e ripassa dal via. E si ferma. Un viaggio che custodisce emozioni e brividi, pensieri, malinconie e strabilianti visioni. In bilico fra sangue e testa. Un viaggio. Uno di quelli che gli antichi esploratori raccontavano ai loro sovrani per sbalordirli. O solo per vaneggiare il proprio stupore irriverente. Chiunque scriva una storia più o meno inventata, ha in serbo il desiderio di vederla un giorno al cinema. E’ il sogno di ogni scrittore. Ed è stato pure il mio. Un giorno mi chiama una sceneggiatrice palermitana, Pina Mandolfo, e mi chiede se può lavorarci per un soggetto. E tutto è partito da lì. L’incontro con Donatella Maiorca, poi quello con Maria Grazia Cucinotta e le altre produttrici Silvia Natili e Gianna Emidi, tutti persi per questa storia di Pina che diventa Pino. Una squadra che ha messo in campo una energia grandiosa, la benzina che ha alimentato tutta l’impresa.
    Come in quei film in cui manca un pezzetto di chiave per aprire la cassaforte e quel pezzetto di chiave lo abbiamo costruito tutti insieme. Con Donatella Maiorca che ha messo in scena, con impareggiabile bravura, le cose che io ho immaginato. Ho avuto poi la fortuna di collaborare ai dialoghi del film e di vivere l’elaborazione della sceneggiatura. Un grande sogno che il cinema mi ha restituito facendomi tornare bambino.

    Minchia di Re è uscito nel 2004, preceduto da "Le Siciliane" e seguito da "Le altre Siciliane": come mai questa passione nel raccontare storie di donne siciliane? Cosa ti ha spinto e ti spinge a scrivere di loro?

    Per anni le donne sono rimaste in silenzio. Hanno nutrito passioni e dolori nel chiuso delle loro case. Con la bocca chiusa, con i pensieri chiusi, con la vita chiusa. Hanno fatto le mamme, le mogli. E poi basta. L’emancipazione è recente, il diritto di voto, la possibilità di un lavoro, l’istruzione. Prima c’è un salto nel buio di cui ancora oggi non si riesce a vedere il principio. Un lungo sonno che ha cancellato le donne dalla storia. E nello stesso tempo però ha difeso i loro sentimenti da contaminazioni e corruzioni. Una cortina di ferro che ha custodito essenze e radici. Brividi ed emozioni intatti, con tutto il nocciolo, così come sono nati. Storie e percorsi, prima del peccato originale, prima di Eva, prima che la parola diventasse verbo. Ho intercettato questi segnali nelle vite delle siciliane, valori eterni privi di mediazioni, diretti, con l’istinto fra i denti. Una sincerità che colma di giustizia ogni dettaglio. Donne che hanno cose nuove da dire, distanti anni luce da ragionamenti confezionati, buoni per ogni occasione. Vite vere, cose mai sentite. Sempre senza paura. Siciliane che non hanno paura di sbagliare, perché loro sono fatte così, e la paura è un sentimento che non conoscono. Sanno tutto invece di sconfitte e di vittorie, di fatiche e di lacrime. Ma stanno in piedi; troppo tempo sono state piegate dalla piena. Donne con la schiena diritta. Che guardano negli occhi al futuro, e non celano mai ambiguità o equivoci

    Hai altri progetti in cantiere adesso?

    Ancora passioni. Questa volta in bilico fra due mondi, l’America e la provincia siciliana. Un poeta che si innamora follemente di due donne, la beat generation, gli anni 60, la ricerca delle proprie radici, la follia, la cura, il destino.

    C`è qualcosa sulla quale da sempre avresti voluto scrivere ma non l`hai mai fatto?

    Mauro Rostagno, il giornalista ucciso dalla mafia a Trapani nel 1988. Io ho lavorato con lui nella sua televisione e per questo ora sono troppo coinvolto. Ma ci sarà tempo.

      La data/ora di oggi è Ven Apr 19, 2024 8:12 am